Torino non ama Torino. È una frase provocatoria ma mi sembra che rappresenti il sentire di molti nostri concittadini. Non è solo questione di modestia sabauda, abitudine al basso profilo, dedizione silenziosa al lavoro, eredità del rigore militare. E’ qualcosa di più. E’ vivere con un po’ di fatica la naturale transizione da un’epoca ad un’altra.
Torino non ama Torino.
È una frase provocatoria ma mi sembra che rappresenti il sentire di molti nostri concittadini.
Non è solo questione di modestia sabauda, abitudine al basso profilo, dedizione silenziosa al lavoro, eredità del rigore militare.
E’ qualcosa di più. E’ vivere con un po’ di fatica la naturale transizione da un’epoca ad un’altra, da un sistema economico ad un altro, da un determinato ruolo a livello nazionale ad un altro.
Alcune grandi e nobili battaglie del ‘900, in cui Torino si è distinta sia sul piano intellettuale che politico, sono ormai vinte.
Oggi siamo di fronte a nuove sfide e, per vincerle ancora, è necessario munirsi di intelligenza e duttilità.
Andare oltre gli schemi e le divisioni che attraversano in modo un po’ vetusto questa città e riscoprire quello in cui siamo davvero bravi. Senza paura di lasciare ad altri, per esempio Milano, il primato su alcune questioni, e anzi fare asse e cogliere le sinergie reciprocamente utili.
In cosa siamo davvero bravi?
Credo che Torino possa proporsi come capitale italiana dell’innovazione sociale.
Abbiamo tutte le carte in regola per farlo, a partire dalla nostra storia ottocentesca in cui abbiamo saputo creare dei modelli poi esportati in tutto il mondo, strappando i ragazzi dalle strade, attivando iniziative di alfabetizzazione di massa, stipulando i primi riconoscimenti giuridici della pluralità religiosa.
Torino era all’avanguardia nell’800 su queste cose e può esserlo anche oggi, perché la solidarietà, il lavoro silenzioso per gli altri, l’accoglienza, sono nel nostro DNA. Lo raccontano le grandi storie del nostro Terzo Settore cittadino.
Partendo dalla storia possiamo proseguire nell’oggi, valorizzando la presenza a Torino di un ecosistema ideale per l’innovazione sociale, fatto di un dinamico e radicato volontariato sociale, un vivace sistema di cooperazione, solide reti di imprenditorialità sociale, competenze tecnologiche diffuse, Fondazioni bancarie molto attente ai temi della coesione sociale.
Cosa può fare la politica?
Raccogliere questa eredità e tradurla in politiche. Pensiamo a Torino Social Innovation o a tutta la filiera Smart City.
E procedere da qui, con uno stile improntato alla serietà, al metodo, che contraddistinguono i Torinesi, uniti a un po’ di creatività e coraggio.
Uscendo dagli schemi, dalle gelosie e dalle rigidità che a volte ci ingabbiano.
Cercando strade nuove ma sempre sostenibili.
Facendo i conti con la realtà per non alimentare false aspettative o rincorse al passato, ma partendo dall’attuale scarsità di risorse pubbliche per ri-vedere il modello dello Stato sociale adattandolo alle condizioni dell’oggi.
Con l’umiltà di cercare le buone pratiche realizzate altrove, di riconoscere le esperienze positive esterne al settore pubblico ed eventualmente recepirle o integrarle, di ascoltare le idee frutto dell’elaborazione universitaria.
Con l’orgoglio di svolgere appieno la funzione pubblica di Stato abilitatore e garante,, uno Stato che definisce le regole del gioco e la regia, facilita le reti tra esperienze pubbliche diverse e tra esperienze pubbliche e private, uno Stato che realizza i progetti in un’ottica di sussidiarietà circolare.
“Non ci sono i soldi” può essere un alibi per smantellare un sistema di welfare che ha tenuto insieme l’Italia in questi anni.
Oppure può essere l’occasione per ideare modi nuovi per trovare i soldi o per rendere più strategica e selettiva la spesa pubblica.
Sapendo che nessuno è felice da solo e che la politica ha il dovere di adattare i modelli di welfare per garantire la tenuta del tessuto sociale.
Con la convinzione culturale che in un momento di scarsità di risorse si deve comunque in qualche modo investire sul welfare, che non è solo da considerarsi in chiave riparativa e residuale per lo sviluppo di un territorio, ma è parte di un paradigma economico virtuoso che contribuisce al benessere della popolazione. Dobbiamo uscire dalla logica riduttiva per cui del welfare si parla solo quando si devono fare le limature di bilancio. Il welfare è una gamba troppo importante delle politiche pubbliche perché sia ridotto a questo.
Torino, città di poche parole, di solito è un posto dove alle parole seguono i fatti.
L’incontro di questa sera è proprio un’occasione per passare ai fatti e allargare la cerchia.
Si apre un percorso di studio, ricerca, approfondimento, ma anche di costruzione di reti e aggregazione, che non si limiterà a sostenere i candidati nei vari appuntamenti elettorali, ma vorrebbe essere una piattaforma di elaborazione e definizione di politiche, soprattutto in ambito sociale. Se ci state saremo contenti di lavorare insieme a voi.
Via facebook. Via twitter con l’hashtag #Share2016. Di persona.
Per essere davvero Torino Capitale dell’Innovazione Sociale.