La politica educa?

29 Settembre 2011

La politica educa?

Di Monica Canalis

Responsabile Formazione Politica PD Piemonte

Articolo apparso su www.associazionepopolari.it e http://www.nuovoprogetto.sermig.org/

Fino alla crisi degli anni Novanta chi aspirava ad intraprendere la carriera politica poteva frequentare le scuole di partito, le Frattocchie per il Partito Comunista e la Camilluccia per la Democrazia Cristiana.Si trattava di percorsi molto ricchi e strutturati, in cui la scuola non si limitava a trasmettere conoscenze nozionistiche ma coinvolgeva l’allievo in impegnativi esercizi di oratoria, argomentazione, analisi delle proposte dell’avversario.

E’ l’articolo 49 della Costituzione ad identificare i partiti come luogo di esercizio della democrazia e di definizione della politica nazionale. Eppure oggi questi soggetti sociali sono vituperati ed attaccati. E faticano ad affermarsi come agenzia educativa per le nuove generazioni di politici.

Quali possono essere le cause di questo fenomeno?

 

La partitocrazia. Con il passare degli anni, i partiti sono diventati onnipresenti ed hanno assunto un peso eccesivo nei processi decisionali e nella vita democratica del nostro Paese. Un comportamento ipertrofico ed autoreferenziale che li ha allontanati dal resto della società e dalle altre istituzioni in cui i cittadini partecipano alla vita civile.

La qualità della classe dirigente. Purtroppo – come scrive Carlo Carboni in “Elite e classi dirigenti in Italia, Editori Laterza, 2007– “a governare oggi il Paese non sarebbero i migliori, ma i ricchi e i raccomandati. Carente nella guida del Paese, maschile, centro nordista, invecchiata, con vistosi problemi di ricambio, poco meritevole, forte in consenso e debole in competenza … La selezione dei nuovi ingressi ai vertici è spesso demandata a gruppi e affiliazioni che richiedono fedeltà prima che competenza, prestigio ereditato piuttosto che merito e talento”. Una descrizione cupa ma reale della nostra classe dirigente.

La professionalizzazione della politica. Già nel 2005 Franco Ferrarotti in un suo articolo su “Il Sole 24 Ore” evidenziava: “La professionalizzazione mobilita intorno a sé un apparato di personale fiduciario che si è andato gradatamente sostituendo a quello tradizionale partitico, allargando e istituendo nuove opportunità di mercato politico, ivi inclusa quella di un’ottima sistemazione professionale in politica. Per questo per la nostra élite politica l’imperativo è durare più che decidere”.

La partecipazione. Di fronte agli attacchi dell’antipolitica più qualunquista, i partiti dovrebbero innovarsi ed allargare le maglie della partecipazione, aprendosi il più possibile all’esterno. Invece spesso si limitano a proporre il tesseramento ed una modalità di partecipazione passiva, mentre soprattutto i giovani avrebbero bisogno di trovare nel partito il luogo per esprimere e poi concretizzare le proprie idee.

 

Crisi della vita democratica del Paese, classi dirigenti troppo longeve e poco meritevoli, carenza di partecipazione, scarsità di guide morali e di una visione del futuro: problemi che le nuove generazioni devono affrontare con forza e coraggio.

 

La politica, attraverso i partiti, dovrebbe colmare il deficit di fiducia e credibilità e superare il ritardo di analisi delle nuove sfide della modernità innanzitutto facendo un passo indietro, per riappropriarsi della funzione assegnata ai partiti dalla Costituzione, uscire dal rassicurante recinto della propria struttura e cercare con umiltà il dialogo e la collaborazione con le realtà esterne. Riformando la legge elettorale. E, soprattutto, investendo sulla formazione e selezione della classe dirigente.

La formazione e la selezione possono essere il luogo privilegiato di azione dei partiti. La rinascita e il riscatto della dignità della politica può partire dalla formazione.

Negli ultimi anni sono nate alcune positive esperienze di rilancio della formazione politica, soprattutto per iniziativa di alcuni leaders (“Democratica” di Walter Veltroni a Roma e “Centro di FormazionePolitica” di Massimo Cacciari a Milano) e il dibattito politico si è arricchito grazie all’attività di alcune Fondazioni (“FareFuturo di Gianfranco Fini, “ItalianiEuropei” di Massimo D’Alema, “ItaliaDecide” di Luciano Violante), ma ciò non basta per scardinare i consolidati meccanismi di cooptazione ed affermare percorsi meritocratici.

Infatti, come sottolinea ancora Carlo Carboni, “il problema delle nostre élite politiche sta nel costituire sempre più una nomenclatura pronta a mortificare il bene comune a favore di centri di potere articolati per interessi: una sorta di rete panpolitica di interessi. L’essere élite e sempre meno classe dirigente è basato sulla distanza che intercorre tra le élite e le esigenze del paese … Si è di fronte ad una classe dirigente quando l’élite manifesta non solo capacità di gestione e di consenso dello status quo, ma anche visione del cambiamento e del futuro”.

 

Dobbiamo lavorare per riacquisire una guida morale e una visione del futuro, e riempire il vuoto formativo che si è creato negli ultimi anni.

Posto che non è facile ri-educare in questa impostazione le classi dirigenti che stanno al potere da più di due decenni, è urgente l’educazione delle nuove generazioni.

 

Buona è ogni iniziativa che riavvicini i cittadini alla politica e coltivi la predisposizione all’impegno politico, ma per garantire un concreto inserimento nella carriera politica ed un riconoscimento dei meriti e dell’impegno formativo, è importante che siano soprattutto i partiti a promuovere iniziative interne di formazione e selezione della propria classe dirigente, riformando l’opacità degli attuali sistemi di selezione.

 

I partiti dovrebbero valorizzare il talento personale e far emergere le persone più meritevoli e capaci, incoraggiando il ricambio generazionale non attraverso la vicinanza personale ad un potente o mediantela rete di conoscenze, e neanche accettando i facili slogan demagogici dei movimenti giovanilisti che assurgono la giovinezza anagrafica a virtù intrinseca, ma creando percorsi di progressivo coinvolgimento e responsabilizzazione, con la cooperazione dei più vecchi e più esperti che si rendono disponibili a formare i giovani, nella consapevolezza che dovranno lasciare loro il proprio posto.

 

La creazione di percorsi formativi strutturati non è tuttavia sufficiente.

Infatti, la prima educazione ai valori e alla competenza è l’esempio personale. Esempio significa coerenza, motivazione, preparazione, onestà.

 

Probabilmente la miglior garanzia di un comportamento onesto, trasparente ed immune da interessi personali, è l’indipendenza economica del politico. “Ogni politico dovrebbe mantenere la propria professione, e renderla sempre più attiva e vivace. Avere una propria vita lavorativa che scorre in parallelo con la vita politica lo rende autonomo economicamente e libero nelle scelte. La libertà di uscire dalla scena politica se non esistono le condizioni per continuare il percorso perché vengono a mancare i presupposti valoriali è la garanzia della propria coerenza” è il valido suggerimento presente nel libro “Un talento per la politica”di Nicoletta Lanza e Fabio Padovan, Franco Angeli Editore, 2009.

 

In uno scenario sempre più impoverito di idee e di slancio morale, i partiti devono tornare a fare i partiti, dismettendo i panni dei “comitati d’affari” o dei “comitati elettorali”. Walter Tocci, nei suoi appunti “Per le scuole di politica. Ipotesi sulla crisi dei partiti e sui modi per uscirne” sottolinea che “assistiamo alla riduzione del partito a ceto politico e alla riduzione del programma a messaggio elettorale. Entrambi i processi convergono nell’espulsione della formazione politica dai partiti … I partiti sono sempre più dei comitati elettorali in cui l’impatto mediatico dei candidati sembra avere più importanza della loro preparazione e dei contenuti di cui si fanno portatori, in cui i leader e il loro entourage cooptano le giovani leve per lo più sulla base del criterio della fedeltà, che è spesso alieno al criterio della formazione … L’assenza di formazione politica è la nota caratteristica di un’azione che voglia destrutturare la forma organizzativa del partito di massa, come aveva già preconizzato Max Weber in “La politica come professione”… Sottopelle c’è una domanda di educazione politica che riguarda soprattutto le ultime generazioni, alle quali arriva solo l’eco di una grandezza perduta e vorrebbero saperne di più”.

 

Sebbene le nuove generazioni si tengano a debita distanza dalla politica, nel momento in cui  chiedono più lavoro, scuola migliore, più speranza per il loro futuro, più giustizia sociale e libertà di esprimere il proprio talento, di fatto stanno chiedendo più politica, anche se inconsapevolmente. Stanno chiedendo più capacità di capire i bisogni e di tradurli in decisioni e cambiamento. Per questo dobbiamo aiutare i giovani a riavvicinarsi alla politica.

 

Oggi siamo attoniti per gli scandali che occupano le cronache quotidiane e disgustati dal discredito gettato sulle istituzioni, ma questi sentimenti comprensibili dovrebbero spingerci ad un maggiore impegno in politica, non alla distruzione del poco che è rimasto, sull’onda dell’antipolitica.

 

I giovani sono chiamati a buttarsi in politica, a lasciarsi educare da chi ha più preparazione ed esperienza e a educare la politica portando freschezza, onestà, comportamenti disinteressati.

 

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