Non occorre andare in Amazzonia per assistere al fenomeno della deforestazione Butea, nord-est della Romania. Fino a cinque anni fa questo piccolo villaggio di 4.000 abitanti, vantava un bosco di 500 ettari. Oggi gli ettari sono solo più 300.
Un disboscamento indiscriminato, che ha i tratti del saccheggio e della rapina, perpetrato ai limiti della legalità dagli abitanti dell’area. Esauriti gli ettari di bosco privato, adesso la gente sta aggredendo quelli di bosco pubblico, teoricamente protetto. La ragione? La povertà, che, a molti, non consente di acquistare le riserve di legname necessarie ad affrontare il rigido inverno. Per i più, tuttavia, alla radice del problema ci sono l’ignoranza e la mancanza di consapevolezza. In un paese in cui per decenni la regolamentazione del taglio di alberi e della rimboschimento sono stati appannaggio esclusivo del governo, stenta ad affermarsi la cultura del piantare alberi; ci si limita a constatare la presenza di una risorsa e ad usufruirne, senza provvedere al suo rinnovamento. Sebbene la polizia abbia, seppur tardivamente, cominciato a vigilare sui boschi, il saccheggio continua. Significa che la gente non ha interiorizzato le motivazioni profonde del divieto. Il codice forestale punisce coloro che tagliano illegalmente alberi di proprietà statale, con pene detentive dai 3 mesi ai 3 anni o con l’obbligo di pagamento di una multa. Praticamente, però, la multa è l’unica punizione applicata. Per far tornare il bosco così com’era serviranno almeno 15 anni. Il Comune dispone di alcune risorse finanziarie per provvedere a ripiantare gli alberi, ma fin quando i cittadini non considereranno il bosco come un patrimonio da usare, ma nel contempo da preservare, le cose non cambieranno.
“Hai tagliato un albero: piantane due”, recita un cartello posto davanti al bosco di Butea; proprio questo occorre: che la gente, tagliando la legna per i propri legittimi bisogni, contemporaneamente restituisca alla natura ciò che le ha sottratto, ripiantando alberi.
E Butea è solo un piccolo esempio di ciò che sta accadendo in Romania, su una scala più vasta. A livello nazionale, le foreste, che occupano il 27 % del territorio (la Romania, con i suoi 6, 221 milioni di ettari di foresta si colloca al decimo posto in Europa), sono minacciate da un altro tipo di povertà culturale: la speculazione delle reti internazionali del mercato del legno che attrae numerosi investitori, i quali, facilitati da leggi permissive, depredano il territorio. La maggior parte del legname tagliato viene poi indirizzato all’estero tramite canali illegali. Il fenomeno ha preso piede negli ultimi anni e sta lasciando centinaia di migliaia di ettari parzialmente o completamente spogli. Qualcuno parla di una “corsa all’oro verde”, che coinvolge romeni e stranieri, enti privati e pubblici. Il legname romeno viene esportato a prezzi bassissimi soprattutto nei paesi arabi, Egitto in testa, attraverso una rete di imprese, per lo più “fantasma”. Si parla ormai di una vera e propria “mafia del legno”. Se nella parte montuosa della Romania si taglia il legno per poi commerciarlo, nelle aree urbane si taglia per costruire case al posto degli alberi. Quest’ultima è un’operazione molto redditizia: infatti, il terreno forestale ha un valore dieci volte inferiore a quello edificabile e ciò spinge la popolazione alla corsa al disboscamento.
Ogni anno, il Governo fissa la quota di alberi abbattibili sul territorio nazionale, ma non prende misure adeguate per vegliare sul suo rispetto. Di fatto, quindi, le foreste sono abbandonate nelle mani di speculatori senza scrupoli e di cittadini incoscienti e privi di responsabilità civica, che ricercano solo un profitto a breve termine.
Il governo Nastase, alla fine del suo mandato (nelle elezioni dello scorso dicembre, Basescu è subentrato alla guida del Paese), ha stanziato 600 milioni di euro per il rimboschimento di 185.000 ettari di terreno, situati soprattutto nelle aree agricole più degradate (il costo medio per il rimboschimento di un ettaro di terreno degradato è di 2.750 euro). Un provvedimento volto ad arginare le preoccupanti conseguenze della deforestazione selvaggia: inondazioni frequenti, siccità prolungata, avanzamento della desertificazione nel sud del paese, dissesto idrogeologico. Lo slogan dell’ex premier era: “un albero per ogni romeno”.
Tuttavia, per via del cambiamento della classe politica al potere e delle lentezze burocratiche delle autorità locali, questi propositi non sono ancora stati messi in atto, con conseguenti danni per tutta la comunità romena, attuale e futura.
Sorge spontanea una domanda: l’ecologia è un vezzo da ricchi? Un Paese mediamente povero è costretto a sacrificare l’attenzione all’ambiente in nome di più pressanti e cronologicamente immediati interessi economici?
Sicuramente, per proporre a persone che lottano per la sopravvivenza un’attenzione di lungo periodo all’ambiente, occorre un sostegno ai bisogni materiali di breve periodo e per sensibilizzare sul valore dei beni naturali occorre un impegno reale ed effettivo delle autorità pubbliche.