Dalle comunità cristiane all’impegno politico

26 Aprile 2022

Primo Mazzolari, rivolgendosi ai credenti impegnati in politica, che talvolta vorrebbero scappare, scrisse: «Una cella è ben più riposante di un seggio parlamentare. Ma in una cella non sempre c’è più Dio. Ogni testimonianza è una tempesta d’anime. Rimanete dunque, come rimane la sentinella agli avamposti, come rimane il capitano sulla nave che affonda: rimanete come deve rimanere un cristiano ovunque lo collochi Iddio: anche sulla croce».

Renato Rosso, missionario fidei donum tra i popoli zingari dell’Asia, ricorda ai cristiani che faticano a tener fede al loro impegno pubblico: «Se anche vi offrissero di lasciare tutto per andare su un’isola a servire i lebbrosi, non abbandonate il vostro impegno politico, perché è lì che siete chiamati a servire i poveri ed il vostro servizio è ancora più prezioso».

 

Sono parole che definiscono il senso profondo della politica. La politica è innanzitutto una vocazione a cui alcuni cristiani sono chiamati, alta ed esigente quanto le altre vocazioni. Come ogni forma di servizio, va portata avanti anche quando regala irriconoscenza e persecuzioni. In quanto vocazione, è una strada che può avvicinarci a Dio e alimentare la nostra sete di infinito. Il cristiano che fa politica, nel vivere la propria vocazione, dà un senso alla propria vita e lavora per restituire un senso anche alla vita degli altri, creando strutture di giustizia, favorendo la coesione sociale e i legami di comunità, lottando per difendere e promuovere una vita degna per i bambini, per i poveri e per le minoranze, siano esse disabili, stranieri, persone con patologie psichiatriche o omosessuali. La politica mette in contatto con il potere e con la visibilità e quindi è fonte di grandi tentazioni per il cristiano, al pari degli altri uomini. Solo tenendo vivo il confronto con la propria comunità si possono dominare queste tentazioni ed evitare che il naturale desiderio di realizzazione personale degeneri in vanità e opportunismo.

 

Nella Lettera a Diogneto del secondo secolo dopo Cristo si ritrova uno splendido ritratto dei cristiani: «I cristiani abitano ciascuno la propria patria, ma come stranieri residenti; a tutto partecipano attivamente come cittadini, e a tutto assistono passivamente come stranieri; ogni terra straniera è per loro patria, e ogni patria terra straniera. I cristiani abitano nel mondo, ma non sono del mondo».

 

Il cristiano è quindi chiamato a non essere del mondo, ma al tempo stesso a non estraniarsi dal mondo, deve sentire come un dovere l’esercizio della propria cittadinanza e, in alcuni casi, l’accettazione della vocazione politica. Il cristiano che fa politica si sentirà spesso “pecora in mezzo ai lupi”, avrà spesso voglia di scappare, ma potrà, attraverso il servizio politico, incontrare i poveri e attraverso i poveri incontrare Dio.

Costruire la città non esula quindi dai compiti del cristiano. Anzi. È vera e propria estrinsecazione della fede cristiana.

La confusione che ci circonda, la difficoltà a far convivere culture diverse, l’ossessione per il politicamente corretto che oscura la verità delle cose e vorrebbe cancellare le differenze in nome del contrasto alle discriminazioni, spesso spingono i cristiani a considerare la città come un mero contenitore esterno, la cornice urbanistica per le proprie parrocchie, associazioni, congregazioni o fraternità, una cornice spesso estranea, poco confortevole. Tutto ciò porta ad allontanarsi dal mondo e a rifugiarsi nel confortevole nido della propria famiglia o fraternità, ma questo è un grande equivoco.

L’intera città è la nostra casa.

Non solo la nostra parrocchia, associazione o fraternità. E questo vale anche se ci sentiamo minoranza e spesso siamo mal tollerati per le nostre idee sulla famiglia, sul rispetto per la vita in ogni sua fase, sulla libertà educativa, sull’attenzione ai poveri, siano essi mendicanti, rifugiati, drogati, disabili o matti.

La città è la casa dei cristiani e i cristiani devono interessarsene e sentirsene responsabili.

Non con la logica della nicchia, ma con quella del lievito. Non con la logica confessionale, ma della laicità.

 

 

 

LA LOGICA DELLA NICCHIA E LA LOGICA DEL LIEVITO. IL DENTRO E IL FUORI.

 

La logica della nicchia è quella che spinge alla tensione difensiva di un fortino, alla chiusura in un rassicurante, ma sterile, recinto identitario, che rischia di portare al settarismo, alla clericalizzazione e all’autoreferenzialità. È la tentazione di stare tra di noi, costruendo una sorta di ghetto un po’ separato dal resto della città. Questa però non è una comunità. E’ un ghetto, appunto.

Non bisogna costruire ghetti, ma abitare la città intera, essere minoranza in mezzo a realtà che talvolta appaiono senza Dio, ma che bisogna guardare con sguardo di fede per vedere il passaggio di Dio, anche nelle persone apparentemente più lontane.

La logica della nicchia ci spinge a stare dentro le nostre case, magari aprendo le nostre porte, ma uscendo poco. La logica del lievito, invece, ci spinge ad uscire fuori, a mescolarci, a conservare la ricchezza e il conforto della vita comune, per farne dono al resto della città.

La logica del lievito è quella di una comunità poco numerosa, come è oggi la comunità cristiana, che, pur essendo piccola, riesce a dare una testimonianza efficace e magari anche ad influenzare la maggioranza grazie alla qualità delle proprie idee e del proprio impegno, trovando modi nuovi per inculturarsi e incarnarsi nel contesto territoriale in cui sono inserite. Sono i piccoli – di biblica memoria - che fanno cose grandi, se conservano la propria autenticità e non temono il confronto con chi è diverso e talvolta ostile al cristianesimo. Nel ‘900 sono state le piccole comunità a fermare i totalitarismi, ricordava Padre Francesco Occhetta. E storicamente sono le minoranze che guidano la storia.

Vivere la logica del lievito ha due condizioni: la preparazione e il coraggio.

Solo cristiani preparati, saldi nella fede, ben formati, possono mescolarsi al resto della città con un sano spirito di fraternità, senza perdere il proprio gusto e la propria specificità. Solo cristiani preparati sono in grado di spargersi nel mondo.

Si può essere presenza numericamente minoritaria, ma feconda, si può essere intransigenti nei valori, radicali nei comportamenti, ma dialoganti nel metodo.

E poi serve tanto coraggio. Solo cristiani coraggiosi non hanno paura di esplorare una società che sfida il cristianesimo, col rifiuto dello straniero, l’ostentazione dell’appiattimento dei generi, l’attacco frontale alla famiglia, la strumentalizzazione dei simboli religiosi.

Le nostre città sono più che mai il nostro luogo di missione.

 

 

LA LOGICA CONFESSIONALE E LA LOGICA DELLA LAICITA’.

 

Benigno Zaccagnini diceva:” In politica non in nome, ma a causa, della fede”. Questa è una bellissima sintesi.

Il cristiano impegnato in politica è ispirato dalla propria fede e dalla Dottrina Sociale della Chiesa, ma non la ostenta e non la utilizza strumentalmente per trarne un profitto elettorale.

Il cristiano impegnato in politica è un laico che risponde innanzitutto alla propria coscienza e determina le scelte politiche in modo indipendente dal clero.

La laicità delle istituzioni è una garanzia sia per i credenti sia per i non credenti.

La definizione “Libera Chiesa in libero Stato” sancisce una separazione del raggio d’azione di queste due istituzioni, che da un lato tutela lo Stato dalle ingerenze ecclesiastiche e dall’altro tutela la Chiesa dalle ingerenze statuali. Il nostro ordinamento giuridico è pertanto aconfessionale. Limita le ingerenze religiose, garantisce la libertà religiosa, senza tuttavia al contrario imporre uno stato etico.

La laicità è quindi una cosa buona, che non va confusa con il laicismo, cioè con l’estromissione del discorso religioso dalla sfera pubblica e con l’ostilità dello Stato nei confronti delle espressioni e delle aggregazioni religiose.

Personalmente, mi sento una donna, laica, credente, che considera la fede un fenomeno pubblico e non solo privato e considera la laicità una protezione per la propria libertà politica, sia nei confronti delle gerarchie ecclesiastiche sia nei confronti del laicismo.

 

 

COME NASCONO LE VOCAZIONI POLITICHE? LA VITA COMUNITARIA. LA PREGHIERA E IL PENSIERO. LA CARITA’ E LA GIUSTIZIA.

 

Sono convinta che più che organizzare scuole di politica, sia necessario che le comunità cristiane organizzino… “scuole di comunità”.

Intendo dire che, per avere cristiani preparati e non paurosi, che siano in grado di discernere e poi affrontare l’impegno politico, che curino non solo la dimensione spirituale, ma anche quella civile della fede, è necessario innanzitutto avere delle comunità in cui vengano formati bene i cristiani e in cui possano sorgere di conseguenza le varie tipologie di vocazione. Comunità vere che siano vivai di varie vocazioni.

Io di comunità come queste ne vedo poche…

Se non consolidiamo le comunità cristiane esistenti e non le moltiplichiamo, sarà difficile far emergere vocazioni serie e ben formate, in tutti i campi e in tutti gli stati di vita.

Senza comunità cristiane serie e ben guidate il cristiano vaga in solitudine e rischia di perdersi.

Prima di tutto dobbiamo rafforzare le nostre comunità cristiane. Prima di promuovere scuole di politica, dobbiamo promuovere un impegno pastorale per rianimare le nostre comunità.

Prima la comunità, poi la politica. Questa mi sembra la strada.

La formazione del cristiano, oltre alla preghiera e alla carità, oltre ai Sacramenti e alla lettura della Parola, non deve trascurare la dimensione del pensiero.

Qualcuno parlava delle 4P:

  • Preghiera
  • Parola
  • Pane eucaristico
  • Poveri

Ecco, io aggiungerei una quinta P: la P di Pensiero.

 

Carlo Maria Martini diceva:

Chiedo non se siete credenti o non credenti, ma se siete pensanti o non pensanti. L’importante è che impariate a inquietarvi. Se credenti, a inquietarvi della vostra fede. Se non credenti, a inquietarvi della vostra non credenza. Solo allora saranno veramente fondate”.

 

Dietrich Bonhoeffer diceva che:

La stupidità è un nemico del bene più pericoloso che la malvagità. Contro il male si può protestare, si può smascherarlo, se necessario ci si può opporre con la forza; il male porta sempre con sé il germe dell’autodissoluzione, mentre lascia perlomeno un senso di malessere nell’uomo. Ma contro la stupidità siamo disarmati. Qui non c’è nulla da fare, né con proteste né con la forza; le ragioni non contano nulla… La parola della Bibbia, che il timor di Dio è l’inizio della sapienza (Sal. 111, 10), significa che la liberazione interna dell’uomo per una vita responsabile di fronte a Dio è l’unico reale superamento della stupidità.”

 

Anche il Vangelo ci esorta ad essere “candidi come colombe e astuti come serpenti”.

Ecco, io vi mando come pecore in mezzo ai lupi; siate dunque prudenti come i serpenti e semplici come le colombe”.

 

Quindi dobbiamo esercitare il nostro senso critico, il nostro pensiero, non soltanto la nostra bontà e il nostro abbandono alla volontà di Dio. Curare il nostro cuore, ma anche il nostro cervello, perché il Signore ce l’ha dato perché lo usiamo. Testa e cuore insieme. Comunità orante e comunità pensante.

Nella formazione dei cristiani dobbiamo insistere molto anche sul pensiero critico, perché solo in questo modo i cristiani saranno pronti ad abitare proficuamente il mondo e ad essere sale della terra, a dare un contributo alla società, non solo in termini di carità, ma anche di giustizia.

 

Monica Canalis

3.4.2022

 

 

“Il peggiore analfabeta

è l’analfabeta politico.

Egli non sente, non parla,

nè s’importa degli avvenimenti politici.

Egli non sa che il costo della vita,

il prezzo dei fagioli, del pesce, della farina,

dell’affitto, delle scarpe e delle medicine

dipendono dalle decisioni politiche.

L’analfabeta politico è così somaro

che si vanta e si gonfia il petto

dicendo che odia la politica.

Non sa l’imbecille che dalla sua

ignoranza politica nasce la prostituta,

il bambino abbandonato,

l’assaltante, il peggiore di tutti i banditi,

che è il politico imbroglione,

il mafioso corrotto,

il lacchè delle imprese nazionali e multinazionali.”

Bertolt BRECHT (1898-1956)

 

 

 

“La politica non può essere solo l’arte del possibile,

ossia della speculazione, del calcolo, dell’intrigo, degli accordi segreti e dei raggiri utilitaristici,

ma piuttosto deve essere l’arte dell’impossibile,

cioè l’arte di rendere migliori se stessi e il mondo”.

Vaclav HAVEL (1936-2011)

 

 

La perdita di credibilità della politica trae origine soprattutto dalle logiche particolaristiche che prevalgono sul bene comune, dalla perdita del primato della politica a vantaggio dell’economia, dall’indebolimento dei corpi intermedi in primis la famiglia, dall’elitarismo di alcune forze politiche che le ha allontanate dal popolo.

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