Corsa armamenti
Credere nella pace non esime da una riflessione sulle politiche per la difesa. Nel mondo è in atto una corsa agli armamenti in cui l’Italia e le industrie italiane fanno la loro parte.
I dati ci dicono infatti che nel nostro paese ci sono 112 aziende attive nel comparto della difesa, che danno lavoro a 50 mila persone e fatturano 15,3 miliardi l’anno. Un business e una fonte di lavoro.
Ma dove finiscono queste armi? Anche all’ISIS, tramite il Qatar e l’Arabia Saudita. Attraverso la vendita di armi, c’è quindi una responsabilità diretta dell’occidente in quella destabilizzazione mediorientale che genera flussi migratori incontrollati e altri fenomeni che ci toccano da vicino.
La soluzione per la guerra in Siria, in Irak, Yemen, Somalia e Libia deve essere diplomatica e non militare. Ce lo insegna l’esito fallimentare dell’intervento militare in Libia nel 2011, a cui partecipò anche l’Italia per decisione dell’allora governo di centro destra.
In questo periodo molti invocano la guerra come soluzione dei nostri mali… Ma la storia ci insegna che, al di là di ingrassare l’industria bellica, la guerra non è la soluzione.
Nel 1931 Primo Mazzolari scriveva “Non ascoltate chi vuole dimostrarvi che le barriere sono necessarie e che senza una guerra non si rimette a posto nulla”. Il suo monito purtroppo non venne raccolto e scoppiò la seconda guerra mondiale...
Oggi abbiamo l’occasione di imparare dalla storia.
Le armi uccidono 5 volte:
1) quando vengono progettate e distolgono intelligenze da altri ambiti di sviluppo;
2) quando vengono costruite e distolgono risorse finanziarie da altri ambiti di sviluppo;
3) quando uccidono materialmente;
4) quando generano la vendetta;
5) quando compromettono il futuro dei sopravvissuti.
E allora cosa fare? Credere nella pace non esime da una riflessione sulle politiche per la difesa. Non siamo ingenui sognatori. Sappiamo che la pace non si improvvisa.
Occorre
1) razionalizzare la politica per la difesa, centralizzandola a livello europeo e delineando un’identità europea anche in politica internazionale, alternativa e indipendente da quella degli Stati Uniti e della Russia
2) progettare una seria politica di riconversione delle industrie belliche, salvaguardando i posti di lavoro e concentrando la produzione sugli interventi più moderni e necessari (cyberwar per esempio).
Non sono temi su cui si può semplificare, ma iniziare una riflessione seria sì.