A Trieste la settimana sociale dei cattolici in Italia dedicata alla democrazia.

Il Cattolicesimo italiano promuove l’”amore politico”.

Monica Canalis

13.8.2024

Cinque giorni di grande profondità e comunione, dal 3 al 7 luglio scorsi, in cui 1.200 delegati delle Diocesi italiane si sono riuniti a Trieste, sotto la guida del Comitato Scientifico delle Settimane sociali, composto dal vescovo di Catania Luigi Renna, da Elena Granata, Sebastiano Nerozzi, Padre Giacomo Costa, Suor Angela Elicio e altri studiosi ed esponenti del variegato mondo ecclesiale italiano.

Le settimane sociali dei cattolici italiani nacquero nel 1907, per intuizione del beato Giuseppe Toniolo, che desiderava contribuire alla formazione di una classe dirigente ispirata cristianamente, in un periodo storico in cui ancora vigeva il non expedit papale ed i cattolici italiani non erano pienamente partecipi della vita politica nazionale.

A Trieste si è svolta la cinquantesima edizione, segnata da una grande apertura agli spazi della città ospitante, con l’allestimento nelle splendide vie e piazze di Trieste di palchi per i dibattiti e di stand animati dai vari soggetti ecclesiali, e da una notevole attenzione mediatica, favorita dalla partecipazione delle due figure oggi più amate dagli italiani, Sergio Mattarella e Papa Francesco.

Tuttavia, credo che la novità più significativa riguardi il tema scelto: la democrazia. Dopo anni di diffidenza e timore, la chiesa italiana ha deciso di occuparsi apertamente di politica, non per interferire con il potere temporale, rivendicare privilegi o invocare la rinascita della Democrazia Cristiana, ma per affermare che esiste una speciale forma di amore che è l’”amore politico” ed incoraggiare i cristiani a partecipare, innanzitutto al voto, ma anche al dialogo pubblico e alla definizione delle proposte.

A Trieste è emersa una Chiesa che considera la democrazia un valore, per la sua forma metodologica e procedurale (di limite al potere assoluto e di coinvolgimento universale al momento del voto), ma anche per la sua sostanza, che è espressione, inclusione e formazione della comunità.

Mattarella ha riflettuto sull’anima della democrazia e sui principi che la reggono, precisando che partecipare non equivale a parteggiare e che gli alti tassi di astensionismo appaiono come una vera e propria diserzione. Parole incisive, se si considera che alle elezioni europee di giugno il 58% dei cattolici praticanti non ha votato (fonte: sondaggio di Nando Pagnoncelli). “Bene comune” non è il “bene pubblico” dell’interesse della maggioranza, ma il bene di tutti e di ciascuno al tempo stesso, secondo quanto già la Settimana Sociale del 1945 volle indicare”, ha ricordato Mattarella. E ancora: “Battersi affinché non vi possano essere “analfabeti di democrazia” è una causa primaria, nobile, che ci riguarda tutti. Non soltanto chi riveste responsabilità o eserciti potere. Per definizione, democrazia è esercizio dal basso, legato alla vita di comunità, perché democrazia è camminare insieme.”

Il cardinale Zuppi ha invitato il cattolicesimo italiano a non chiudersi in sacrestia e a non stare a guardare, consapevoli che la politica ci riguarda tutti

Ogni tentazione particolaristica e settaria è stata scacciata dall’intervento di Arianna Rotondo, che ha curato un’originale analisi dell’antica Lettera a Diogneto del II secolo D.C.: “Appare una nuova mentalità, la fede in Cristo porta non già a estraniarsi dal mondo, ma a condividerne appieno le sorti. I cristiani sono cittadini del cielo e al contempo condividono le sorti del mondo, sono chiamati ad impegnarsi in esso per il bene comune. La cura per la città, nella quale sono coscienza critica, li richiama a una passione civile, partecipi dell’ordine sociale. Superano le leggi, pur rispettandole, mentre spalancano lo sguardo verso un orizzonte superiore. I cristiani non sono un gruppo settario, ma sono integrati nel contesto territoriale in cui si trovano a vivere Non abbracciano una fuga mundi, ma sono nel mondo come l’anima è nel corpo. Sono sostegno per il mondo”.

Michele Nicoletti e Filippo Pizzolato hanno offerto le relazioni più tecniche, sullo stato di diritto, sul rapporto tra democrazia e libertà, sulla crisi dei partiti, sulla dimensione della lotta e del conflitto, sulle strade per difendere e aggiornare la democrazia, mentre Annalisa Caputo e Mara Gorli hanno condiviso due riflessioni di taglio filosofico e psicologico, sulla comunità e sulla collaborazione.

Infine Papa Francesco ha pronunciato parole molto forti: “E’ evidente che nel mondo di oggi la democrazia non gode di buona salute. Questo ci interessa e ci preoccupa, perché è in gioco il bene dell’uomo, e niente di ciò che è umano può esserci estraneo. (…) La democrazia richiede sempre il passaggio dal parteggiare al partecipare, dal “fare il tifo” al dialogare. (…) Non possiamo accontentarci di una fede marginale, o privata. Abbiamo qualcosa da dire, ma non per difendere privilegi. No. Dobbiamo essere voce, voce che denuncia e che propone in una società spesso afona e dove troppi non hanno voce. Tanti, tanti non hanno voce. Tanti. Questo è l’amore politico, che non si accontenta di curare gli effetti ma cerca di affrontare le cause. Questo è l’amore politico. È una forma di carità che permette alla politica di essere all’altezza delle sue responsabilità e di uscire dalle polarizzazioni, queste polarizzazioni che immiseriscono e non aiutano a capire e affrontare le sfide. A questa carità politica è chiamata tutta la comunità cristiana, nella distinzione dei ministeri e dei carismi. Formiamoci a questo amore, per metterlo in circolo in un mondo che è a corto di passione civile. Dobbiamo riprendere la passione civile, questo, dei grandi politici che noi abbiamo conosciuto. Impariamo sempre più e meglio a camminare insieme come popolo di Dio, per essere lievito di partecipazione in mezzo al popolo di cui facciamo parte. (…) Sull’esempio di La Pira, non manchi al laicato cattolico italiano questa capacità di“organizzare la speranza”.”

Adesso la sfida è far diventare i cinque giorni di Trieste un fermento nelle nostre Diocesi, per riattivare non solo la partecipazione dei cattolici al voto e alla vita politica, ma anche la fiducia nella politica, a partire dalla bellissima definizione di “amore politico” coniata da Bergoglio, per promuovere una “fede incarnata”, sanare la scissione tra la vita all’interno della comunità cristiana ed il mondo esterno ed essere parte di un dialogo che migliori la qualità della nostra democrazia.

La chiesa italiana è tornata ad occuparsi di politica senza reticenze, ora sta a ciascuno di noi interessarsi e fare la propria parte.